Vienna, 28-29 agosto 2022
Agosto 29, 2022Milano, Vegan Chalking Night, 2 settembre
Gennaio 5, 2024Venezia, 1-7 settembre 2022
Non ci voglio credere. Sono giorni che preparo la partenza per Venezia, che rimugino su cosa portare. Il mio solito dualismo, la mia doppia faccia: zaino con pc per prendere ogni sorta di appunti durante le plenarie mattutine di Decrescita e tenda, sacco a pelo, torcia per la vita notturna nel camp dei Friday. Sono giorni che mi esercito per questo doppio personaggio e appena mi siedo comodamente sul primo posto singolo (asociale, lo so, ma tutti i miei personaggi spesso sono asociali) che trovo sul treno una terribile consapevolezza mi raggiunge.
Mi agito. Apro e chiudo lo zaino. Ma nulla. Non c’è. Come farò? Mi faranno scendere? Mi butteranno giù dal treno. Per me questo vale il doppio. Faranno scendere anche me a Bologna?
Non trovo l’unico oggetto più importante della carta d’identità. L’oggetto che devi avere sempre con te. La mascherina.
Prendo la sciarpa nera che avevo al collo e inizio ad arrotolarmela sulla bocca. Così dovrebbe andare. Occhiali da sole e ora voglio vedere chi ha il coraggio di dirmi qualcosa.
Solo a me le persone che non vedo negli occhi incutono timore?
Palpebre pesanti. Un batter d’occhio ed eccoci nella laguna. Una chiesa verde e azzurra come l’acqua mi dà il benvenuto. Scintilla di verderame, verde storia. Mancano solo corsetti e carrozze. Mi trovo in un’altra epoca, Venezia fa questo effetto. Sotto la luce scintillante riflessa dai vicoli umidi vengo colta impreparata da un evento che di solito detesto, ma che in quel quadretto romantico dona un senso di pace. Piove.
Come a Praga, a quanto pare Detonazione porta la pioggia.
Devo capire come smettere di fare questa strana danza, la pioggia mi sta seguendo. La cosa divertente è che c’è il sole e sotto questa unione brilla l’acqua dei canali le cui gocce, a quanto pare, ogni tanto si fanno un giro anche in cielo.
La mia destinazione è nascosta tra ponti e vicoletti. Un po’ vorrei perdermi e ritrovarmi in una vita diversa. Ma devo andare. Ho fatto una promessa. “Decrescita, Se non ora quando?” È questo il mio obiettivo. L’ho promesso al Gruppo di Acquisto Solidale di Salso e Fidenza. Ho promesso che avrei rubato ogni parola. Attivisti da tutto il mondo si sono riuniti qui e io potrò essere tra loro. Sentire quasi il suono delle rotelle dei loro pensieri mentre dialogano di come salvare questo pianeta.
Mi rimangio tutto. Anche se la bellezza atemporale di questa città attrae, non mi voglio perdere, voglio questa vita. La missione è chiara. E lo dico col cuore che scalpita.
Decrescita: “Modello di sviluppo localistico basato su riduzione dei consumi, autoproduzione e autoconsumo dei beni, teorizzato dall’economista e filosofo francese Serge Latouche (n. 1940), in contrasto con l’idea universalistica secondo cui la crescita trainata dalle economie sviluppate produce sempre e per tutti effetti positivi a lungo termine; in senso concreto, diminuzione, riduzione della crescita, rinuncia alla crescita.” Treccani
Scorrazzo tra ponticcioli con tenda, zaino, borsa e sacca dei vestiti. Incredibile ma ero più comodo con il contrabbasso. Adesso non c’era più Andrea, nessuno mi dice più dove andare, sono sola. Che emozione. Sta a me. La strada me la scelgo io. Appena il mio “piedino” ha toccato il binario 6 di Venezia Santa Maria Novella mi son detta “E moh che cazzo faccio?”
Nemmeno un’auto, solo piedi e barche tra i canali. Silenzio e acqua. Vorrei un mondo così. Tutto. Con mezzi di comunicazione lenti, che seguono il corso della corrente. Sogno un mondo al rallentatore che si perde tra le vie strette e sinuose che permettono alle persone di guardarsi negli occhi. Non grandi viali lastricati di asfalto nero, dove ognuno si chiude nella propria lattina con le ruote e non sa dire più “Buongiorno” e non sa più guardare negli occhi uno sconosciuto e non sa più sorridere. Estraniati da tutto. Io, per prima, sul treno con la mia sciarpa nera e gli occhiali scuri lontana da tutti.
Strudel vegano e cappuccino di soia. Per poco non mi commuovo. Avevo una fame che per poco non ci vedevo più. Quel barettino grigio e azzurro è stato la mia salvezza.
Quanti salti nel buio sto facendo negli ultimi mesi? Una marimba nella tasca, è mio padre, mi ripete questa frase per comprendere i GAS. “Pensare globalmente, agire localmente”. Questo sarà il mio motto di questa settimana.
Sto andando a Decrescita, me lo devo ripetere, perché la testa viaggia. Sto andando a rappresentare il gruppo di acquisto solidale della mia città e della città di Nicolò (un caro amico, un giorno poi vi racconterò di lui). I GAS. Ho dovuto fare i conti con questo nome. Diciamo che “Lotta che rappresenta il Gas” non suonava proprio bene e la cosa mi imbarazzava non poco. Poi ho capito che col gas non c’entrano proprio nulla. Non conoscevo la loro realtà, la loro missione. Del bene e del modo in cui creano una rete e si aiutano per costruire un sistema economico, sociale e alimentare differente. Sono fiera di questo incontro. Porterò alto il loro nome. Mi hanno affidato questo compito e non li deluderò.
Quanti salti nel buio sto facendo negli ultimi mesi?
Una marimba nella tasca, è mio padre, mi ripete questa frase per comprendere i GAS. “Pensare globalmente, agire localmente”. Questo sarà il mio motto di questa settimana.
Plenaria I, Il momento presente
Quante persone, tutte qui per costruire un altro mondo. Mi appollaio in alto, in alto, in questo grande nido come una civetta, nell’ultima fila in alto a destra. Una piccola civetta, l’ultima arrivata. Qui dentro è pieno di gufi esperti. Io sono la più piccola, non succede mai. Battono questo primato solo dei neonati nelle fasce delle madri attente ai loro posti, con block notes, penna, una forte luce negli occhi e i bimbi aggrappati come piccoli koala. Sono in silenzio. Aspettano. Chissà se saranno futuri attivisti anche loro. Non ci posso credere. Di tutti i luoghi nel mondo, di tutti i posti a sedere in questa sala dell’Università Iuav di fianco a me c’è un uomo che era con me a Strasburgo, era con me durante la Detonazione. Percepisco questi piccoli fatti che accadono come segni del tratto di strada che sto costruendo, piccoli segnali che mi dicono “Sei nel posto giusto, è questa la strada”. Mi riconosce e sorride.
Ascolto attenta ogni parola, come se dovessi smarrirne una, il mondo che sogno non dovesse avverarsi. Dovrei fare un post, solo sul mondo che sogno, questa utopia che sogno quando sono felice.
A vent’anni voglio la “Lotta”. Ma vedo che più si cresce più si cerca la felicità. Chissà forse un domani il mio nome cambierà, mi chiamerò “Felicità”
Alla mia destra un altro signore mi si avvicina, mentre penso a questa vita di lotte, e mi dice
“C’è bisogno di lottare.”
Strabuzzo gli occhi, questo legge nel pensiero
“I lavoratori lottarono. Un lavoratore che fa 50 ore deve anche imparare a studiare il pianoforte”
Inizia a raccontarmi degli anni ‘60, quando aveva 20 anni, lavorava e poi la sera scappava in Conservatorio per studiare chitarra classica.
Sembra di essere entrata in uno dei miei documentari. Dove ci sono i veri eroi del nostro secolo che spendono la loro vita al servizio del pianeta. Serge Latouche, Helena Norberg-Hodge, nomi grandi che sentivo e ora potevo vedere.
Edgardo
Esco. E guardarmi in giro in quel momento, anzi, dopo quel momento, era diverso. Sentivo che le cose erano diverse. Mi sentivo nel posto più giusto del mondo, con la gente più giusta. Ora “agire” acquisiva senso. Presi un caffè, un gentile signore romano (preciso la provenienza per immaginarsi bene la cadenza della sua voce profonda) mi passa un bastoncino per girare lo zucchero nella tazzina.
“No, grazie” sorrido
“Come no? Non lo giri?”
Ero imbarazzata, ma non lo volevo, la conversazione stava diventando più lunga del previsto (in realtà non c’era nessun “previsto”) e io non avevo mai dovuto spiegare a qualcuno il perché non volessi usare i bastoncini per girare il caffè, era un terreno inesplorato.
“Non uso oggetti usa e getta di plastica”
“Ma è di legno”
“Oh”
“…”
“Allora grazie”
Niente, pensai, ho perso. Il signore si mise a ridere e mi invitò a berlo fuori, fu così che conobbi Edgardo.
Mi raccontò questo aneddoto, al quale ancora oggi quando viaggio penso per spronarmi a continuare a lottare.
“Ho fondato un ospedale in Burkina Faso. In quell’ospedale sono nati delle bambine e dei bambini. Solo che poi… quei bambini sono cresciuti. Quindi si doveva costruire la scuola.”
Mi mostrò le foto dei suoi viaggi, le foto delle manifestazioni, le foto dei ragazzi e delle ragazze che studiavano ora grazie a quella vita dedicata al prossimo. Una vita dedicata alle vite. Lui e il gruppo che aveva fondato avevano salvato e cambiato delle esistenze.
Una piccola farfalla arancione mentre mi raccontava mi riportò a Venezia, come svegliata da un sogno salutai le pianure del Burkina dove giocavano i bambini, e tornai tra i canali. Si posò sulla mia borsa, o meglio la borsa che mia mamma ha “preso in prestito” a mia nonna che io ho “preso in prestito” da mia mamma (altro che second hand). Vidi il volto di Edgardo sbiancare e non capii subito il motivo. Mi fece rivedere le foto, le foto delle manifestazioni, le foto dei suoi viaggi, le foto dei bambini che giocavano. Continuai a non capire.
“Vedi la bandiera?”
“Quale bandiera?”
“La bandiera del nostro gruppo, il gruppo Melitea”
“…”
“Melitea è una farfalla, è questa farfalla”
E indicò il piccolo insetto sulla mia borsa. A voi crederci o meno.
È notte. Devo raggiungere il Lido. All’inizio dicevo “9 euro e 50 un biglietto. Siamo seri?!?!” ma poi d a questa barchetta-bus Venezia è il teatrino delle ombre. Sagome nere camminano su e giù dai ponti illuminati davanti alle facce antiche dei bar. Sagome di bimbi corrono, sagome di coppie ridono, alcune sagome escono di scena e si nascondono nei vicoli scappando alle luci dei lampioni. Sono entrata a teatro senza saperlo, solo che la mia poltrona dondola e viene un po’ di mal di mare. Un vento forte mi scompiglia la frangia. Ne vale il biglietto. A ogni fermata un marinaio lancia una corda spessa e con quell’azione si capisce la fine dell’atto, il cambio di scena.
Lido di Venezia. E moh? Dove si va? Amo vivere così, nella totale balia del momento. Se non ti aspetti nulla, ogni cosa è una sorpresa. Disordine sì, ma un disordine che è pieno di oggetti che non ti aspetti. Momenti che creano una vita, una collana creata con perline tutte diverse. Non è elegante, ma è viva. Non riesco a non pensare alle parole di un caro amico “Ti devi organizzare, Lotta, lo dico per te. Impazzirei nel tuo disordine” io ci vedo così tanto invece. L’ordinario non mi emoziona e avendo solo questa vita, solo questa partita da giocare, voglio perdermi nelle emozioni di luoghi e incontri non calcolati.
Ecco un altro incontro. Un gruppo di ragazze di Padova che, come me, non sa come raggiungere il camp. Decidiamo di perderci insieme.
Purtroppo al giorno d’oggi è difficile perdersi, la causa? Eh, Google. in questo caso Maps, Google Maps. Arrivate al campo, ci impossessiamo della cucina e una pasta a mezzanotte non ce la toglie nessuno.
Apro la tenda e dentro di me un misto di emozioni si mischiano e iniziano a bollire come nella pentola di poco prima. Non c’è il fondo, mio padre mi aveva portato tutto nel mio transito Milano-Fidenza-Fidenza-Venezia. E nella città emiliana non mi sono messa per strada a organizzare un campeggio. Avrei dovuto invece, nella tenda non c’è il fondo. Mi aveva portato una di quelle tende da spiaggia, perfetta per andare ad avventurarsi nella sabbia in luoghi caldi d’estate. È settembre, è ancora estate, il mare effettivamente c’è, anche se devo ammettere che l’Adriatico a questa latitudine non è dei miei preferiti. Ma nel camp dei Fridays for Future il clima è umidiccio e le foglie a terra sembrano un ottima (l’unica) soluzione.
Vi parlavo del disordine, vi parlavo degli imprevisti. Stanotte sentirò il profumo del bosco a pochi centimetri dalla mia faccia. Per fortuna Margherita, Chiara, Mire, Nana e Julia mi prestano una coperta.
Una serata piena, bella e molto stancante. Non so se riuscirò sia come inviata a Decrescita, sia come attivista nel Camp.
GIORNO 2. 8 settembre
È bello vedere i volti delle persone quando racconto la mia vita. Vedo tutti estasiati e contenti. Una dolce stima si dipinge loro in faccia. Mi sento così fiera di quello che sto facendo.
Corro, come sempre sono in ritardo, corro e raggiungo la barchetta-bus, salgo alla rinfusa e mi aggrappo. I controllori dondolano sull’inconsueto mezzo. Inconsueto per me.
Qui a Venezia ho l’attivismo appiccicato addosso a causa dell’umidità.
Sarò sincera, è la prima volta che mi muovo dopo la mia Detonazione senza lo spettacolo e tra le attiviste che combattono da anni per un cambiamento, io nuova, mi sento nuda senza lo spettacolo. È la mia corazza per scendere in campo e lottare. Ora non è con me e mi sento piccola.
Grande attesa, anzi immensa. Sento tutti trepidanti intorno a me in questo chiostro medievale. Vandana Shiva entra in scena. Ma come? Tutto qua? Tutta quell’attesa? Quel fermento e poi lei entra così? Senza fuochi d’artificio, senza scorta, senza luci, senza trombe che suonano. È lei, solo lei, piccola e immensa nel suo sari arancione.
Frasi che mi hanno colpita e che passerò la vita portando con me:
“La terra vive. Questa foglia verde prende il carbonio e rilascia ossigeno. Come facciamo a dimenticarci di questo? Basta numeri e basta misure.”
“Voglio un’economia della cura e della gratitudine.”
“La decrescita non è avere meno, è avere molto di più a partire dal lato umano. Più gentilezza, più prendersi cura del prossimo.”
“Chi sono io per dirvi cosa fare, posso raccontarvi quello che ho fatto io.”
Vandana Shiva, non ti conoscevo ma già masticavo i tuoi pensieri, quest’ultima frase l’ho scritta nello spettacolo e ora sentirla da te mi accende. Non conoscevo tutto quello che fai da più di 30 anni per tutti noi, delle tue lotte, della tua resistenza e del tuo modo di accarezzare la terra e la Terra.
In conclusione, detta come direbbe la mia cara amica Gemma Adorni “Basta giardini inglesi e sporchiamoci le mani”.
Uscimmo e ballammo in quel chiostro. Tutte e tutti insieme, come se quelle parole, le parole di Vandana, ci avessero infuso una nuova energia. Felici, ballammo intorno al pozzo al centro del chiostro danze medievali. Un signore distinto dallo sguardo impostato mi prese per mano e volteggiamo a Venezia come in un libro.
GIORNO 3 |9 settembre
Facevo colazione con Edgardo, le sue storie mi appassionavano e mentre inzuppavo il mio cornetto vegano nel mio cappuccino di Soya rieccola, l’ATTIVISTA. Io ed Eddi le rubammo uno scatto. Avevo il cuore a mille. Ve lo mostro. Lo scatto non il cuore.
Tavolo di discussione: GUERRA, NONVIOLENZA, DECRESCITA
Squarcia,
taglia,
lega,
strappa,
spezza,
piega,
spacca
i miei pensieri il racconto della guerra. Non la guerra lontana, la guerra tra i soldi di casa che ruzzolano nelle casse dello Stato. Precipitano in un vuoto di ferro che stride, mentre scintille blu lacerano il ferro per creare la guerra. I miei risparmi diventano pallottole, il mio lavoro si incanala in quel sudore che sa di ruggine e trafigge vita senza pensarci due volte.
Sento l’odore e sento il sapore, è molto più forte di qualunque open space a cui abbia mai giocato. Quel sapore inconfondibile che trovai varie volte durante partite a pallavolo o tra le coperte nel letto. Lo sguardo si fa nebbia e iniziano le frasi che mi pugnalano al petto su quella sedia cigolante che non poteva reggere tutto il peso della mia testa.
Che succede?
Dove sono?
Ero a Venezia, ma ora sento gli spari, sento la paura negli oggetti che mi circondano. Ho freddo, le dita tremano attaccate alle mie mani ruvide che digitano sullo schermo. Veloci e ansiose. Dovevano portarsi tutto a casa, dovevo sapere la verità, ero intrappolata dalle parole della gente che si susseguiva al tavolo davanti a me. Il tavolo di discussione 14: Guerra, NonViolenza, Decrescita.
Perché la prima delle tre parole mi fece così male? La conoscevo già, ma per la prima volta mi si presentò e mi sussurrò
“Grazie dell’aiuto, cara”.
Aiuto?
Io?
NO
MAI
Lo giuro non c’entro
Non ho fatto nulla
Vi prego, io non…
Gridai, ma la mia bocca non si aprì e nessuno mi sentì. Forse lo feci solo nella mia testa.
Mi spiace parlarvi di guerra dopo la poesia di Venezia e Vandana, ma mi fece male sapere che parte dei soldi che mandiamo allo Stato serve a finanziare l’industria delle armi. E mi sentì direttamente coinvolta e la cosa mi fece sentire paralizzata. Io che ripudiavo ogni guerra, ma che mi chiamavo “Lotta”, non potevo accettare tutto questo. Perché nessuno me lo ha mai detto? Eh? Perché?
Ero feroce, ma alcune parole mi fecero tornare in me. Il nome del tavolo, lo rilessi e vidi che dopo “Guerra” c’era scritto “Non Violenza”.
Così conobbi XR e me ne innamorai.
L’amore mi salvò. E la “Lotta” sarebbe continuata.
Le frasi che mi hanno colpito:
Elisabeth Kübler Ross ne “La morte e il morire” parlò dei diversi stadi de —
Non si agisce, perché ci si nega la realtà, si piange, quando si capisce, ci si attiva in piccolo e poi si lotta.
Decrescita vuol dire non produrre più armi. Se le si produce, bisogna usarle. Un gioco malato per svuotare gli arsenali e produrne sempre di nuove. Funziona così.
Scuole basate sulla verticalità
Dalle pistole quando si gioca alla guerra,
al voto del primo della classe.
La vittoria va smontata. Costruiamo un movimento che dica che la vittoria equivale alla fine del mondo.
Il capitalismo fruga in tutto il mondo per trovare risorse e ha bisogno di un’illimitata libertà di movimento e vive della distruzione delle società non capitaliste.
LA NON VIOLENZA è LOTTA
Non attesa!
Pausa, o meglio, pausa pranzo. Il sole che doveva esser pioggia scintillava sulle foglie degli alberi che cingevano i nostri tavoli di legno. Eddi, come un nonno con i nipoti davanti al falò, continuò a raccontarmi i suoi viaggi, le sue avventure, i suoi incontri, le sue battaglie per l’amor della giustizia. Mi fece vedere i suoi bambini, mi raccontò la storia di sua figlia, nome.
La Decrescita stava terminando e come un film ha i suoi titoli di coda musicati, anche lei aveva i suoi addii. Questi titoli di coda erano musicati dalla chitarra di Lorenzo Sbarbati, di cui Eddi mi comprò il cd. I nomi delle persone però non scorrevano da nessuna parte, ma le potevi vedere tutte lì, ai tavolini di legno, tutti e tutte intenti a mangiare e a parlottare. L’insegnante, il contadino, lo scienziato, la storica, l’erborista, lo scrittore, la scalatrice. Tutte e tutti davanti alla loro pasta al pesto. Ogni ruolo decadeva e rimanevano quei volti, ognuno con espressione diversa, che sognano insieme un mondo diverso, un mondo che, con dolcezza repentina, decresce e ci salva. Lo costruiremo.
Per ora pensiamo a domani. Al Climate Camp era quasi tutto pronto per la Marcia per il Clima.
Io e le ragazze di Padova quella notte decidemmo di fare un salto a salutare il mare, la luna e a dare un’occhiata a quel tappeto rosso che insieme a Fridays for Future avremo raggiunto il mattino seguente.
Giorno 4 | 10 settembre
La nostra Marcia per combattere la siccità e per avere giustizia climatica.
Partiti con il corteo. RAGE AGAINST THE MACHINE sopra sotto dentro. Mi trovo in prima fila e tengo stretto il Tempo tra le mani.
“Time’s up. Join the fight.”
Al punto di incontro raddoppiamo: ognuna e ognuno, da ogni parte d’Italia, portava la sua lotta. Passo dopo passo il red carpet si avvicinava, ma con l’avvicinarsi della Mostra del Cinema, si avvicinavano anche le luci blu. Erano molte e ci stavano aspettando. Un ragazzo da un megafono urlò “Questo è un atto di disobbedienza civile non violenta”.
La nostra è stata una marcia NON violenta, volevamo spostare i riflettori della Mostra del Cinema alla crisi che sta bruciando il nostro pianeta. Noi siamo rimasti compatti, uniti e pacifici. Peccato che la risposta sia stata differente.
La nostra barriera corallina ha protetto la maggior parte dei colpi, ma alcun* ragazz* sono stati colpiti dagli idranti e i manganelli. Noi non ci siamo fermati: cori, musica, abbiamo manifestato con forza unendo tutte le voci. Io tutto bene, ho solo perso una scarpa. (che poi sono riusciti a riportarmi) Avendo passato le mie intere giornate fuori dal Lido per la Decrescita mi ero forse persa qualche pezzo? Ebbene si. Non andate alle manifestazioni in infradito. Continuerò finchè mi rimarrà fiato e forza. Con o senza scarpe.
Brad Pitt sul red carpet e i nostri volti bagnati, quelli di alcuni ragazzi persino sporchi di sangue. Una storia strana, surreale. Dentro la mostra stavano proiettando il film Siccità e fuori dalla mostra ci stavano bloccando con gli idranti. Era acqua dolce per chi se lo stesse chiedendo.
“La siccità non esiste quando c’è da usare gli idranti”
Acqua dolce che ci spacca le fila. Quando capiremo quali sono le cose davvero importanti? Spero entro 6 anni. Si torna a casa con tanta voglia di cambiare il mondo.
POESIA
♫ March, march to my own drum
Lo sciabordio della laguna sul selciato
Non una città reale, ma una sagoma da ritagliare
già vista mille volte nei libri e nei film.
Attori e comparse, registi e fotografi
sfilano in passerella:
è il Red Carpet.
Scatti, scatt, scatti di sfilate di moda
Bellezza compressa e pompata
♫ March, march to my own drum
Sfiliamo in pace e compatti
La polizia all’orizzonte blu come il mare intorno e il cielo sopra
Proseguiamo fieri della nostra lotta,
fieri del nostro messaggio sbandierato nel vento.
Posto di blocco, assetto anti sommossa.
Sapore acre, denti stretti.
Accelera il battito, accelera il passo.
Scudi contro chi procede in pace.
Ansia, paura e i loro occhi non si vedono.
♫ March, march to my own drum
Procediamo uniti, forti delle nostre ragioni.
Vogliamo parlare di rivoluzione, vogliamo un cambiamento e un mondo che ci rispecchi e ci conceda un futuro.
Anche noi, come chi è dentro, parliamo di disastri e deserti.
A pochi passi il film “Siccità”
Getti d’acqua dolce, si, era dolce!
Il vento impastato della laguna
Acqua dolorosa. Occhi rossi e gocce di sangue.
Potente e fredda sui vestiti appiccicati alla pelle
Capelli fradici, ci guardiamo tra di noi:
la paura c’è, ma il coraggio la batte.
♫ March march to my own drum
Eco degli applausi
Sfilate patinate
Sfiliamo compatti
Urla scomposte
Manganellate, manganellate, non avevo mai visto la violenza.
Vergogna nascosta dai caschi. Gli occhi non li vedo ancora.
Fermi.
È tutto un urlo, tutto un coro che canta di un mondo possibile.
Domani arriverà il nostro messaggio.
Arriverà ed esploderà? O sarà inghiottito da un freddo silenzio?
♫ March, march to my own…
GIORNO 5 | 11 settembre
Buongiorno dal Camper Peter Pan!
Sobbalza sulla strada. La sera prima Eddy mi ha offerto un posto a dormire per evitare le foglie (vi ricordo la tenda che mi aveva lasciato mio padre senza il fondo) e io, fradicia per gli idranti, piena di terra e sudore, non so che avrei dato una doccia e un letto e senza pensarci due volte “Grazie Eddi!” e lo abbracciai. Dopo la manifestazione, per altro, mi propose una cosa alquanto allettante
“Andiamo a fare la vendemmia”
“Cosa?”
Ho trovato un tipo più pazzo di me. Come rifiutare una proposta simile? Voglio un mondo di folli che dopo essere stati colpiti da getti d’acqua ti chiedono di andare a raccogliere l’uva.
Neanche il tempo di arrivare e avevo già le forbici in mano, parlai con contadini, attiviste, beccai persino un flautista e un chitarrista. Tutte e tutti ci guardavano con occhi strabuzzati. Una ragazzina di 20 anni, un signore sui 70 tornati dalla mostra del cinema, con tante cose da raccontare. Partii dall’inizio: Giorno 1